11 giugno 2010

Waka Waka

È iniziato il Mondiale del 2010 in Sudafrica. E la domanda nasce spontanea: cosa c'è dietro la luccicosa vetrina?
Il Sudafrica attrae su di sé, in questi giorni, gli sguardi di tutto il mondo, e un mondiale non può andare avanti senza nascondere un po' di polvere sotto il tappeto. In Germania, Francia, Italia, anche negli Stati Uniti, il rovescio della medaglia era un po' il segreto di Pulcinella: tutti sapevano tutto, o molto, delle birbonate boreali (mondiali e non) di questi paesi e, in fondo, tutti si godevano il mondiale senza troppi pensieri.
Il Sudafrica quello vero, invece, in quanti lo conosciamo? Guardare il "nostro" circo di nazionali riccone, falsi problemi e veri cardiopalmi, bandiere e sponsor, trapiantato lì, dove fino a venti anni fa c'era ancora l'apartheid, incute un pudico desiderio di sapere. Viene spontaneo chiedersi quale sia, per esempio, il punto di contatto tra il luccichio della vetrina e il famoso "paese reale". Che cosa ci dicono di vero su questa nazione gli stadi ronzanti di vuvuzele? Cosa ci ha raccontato davvero la cerimonia d'apertura? Uno spettacolo di bellezza semplice, di colori, entusiasmo e vita, di movimenti energici e liberatori. Senza effetti speciali eccessivi e milionari, ricco di sonorità e melodie che per noi sono, letteralmente, dell'altro mondo. Ci ha raccontato un'altra vita, un'altra storia, un'altra civiltà.
Ecco, il punto di incontro fra vetrina e realtà è in parte lì, nel sorriso e nell'entusiasmo del popolo sudafricano, che combatte per cambiare, con difficoltà e -soprattutto- con dignità. Che partecipa alla festa, che vuole farsi conoscere, che vuole "essere al mondo", lo stesso mondo che troppo spesso lo dimentica. Un mondo che sarebbe migliore se dappertutto si guardasse allo specchio con gli occhi limpidi dei popoli emergenti.

10 giugno 2010

L'opposizione canta, l'opposizione suona

È ri-iniziato, da poco più di mezz'ora, il dibattito in Senato per l'approvazione del ddl sulle intercettazioni, cosiddetta "legge Bavaglio".
Senza pudore, soavemente, ieri 9 giugno il Ministro per i rapporti con il Parlamento Elio Vito ha comunicato che il Consiglio dei Ministri ha autorizzato la fiducia per questo ddl il 29 (poi corretto in 25) maggio. Su un testo che poi è stato cambiato tre, forse quattro volte.
La procedura con cui si è arrivati alla fiducia è "demenziale", come l'ha definita la Bonino, e la legge è stata definita, con pacato eufemismo, "una bruttissima legge".
Ora, diciamocelo, il Senato dovrebbe discutere ben altre questioni. Questa legge, che avrà conseguenze catastrofiche, si poteva benissimo non farla, non adesso che la scuola muore, le imprese chiudono, 1 giovane su 3 è senza lavoro. Il dibattito sugli effetti disastrosi del "bavaglio" è un obbligo morale, è una necessità della nazione democratica; ma il vero scandalo è un altro, è che (come sempre) il paese, quello vero, con i suoi bisogni e le sue difficoltà, non passi mai per i banchi del Senato o della Camera.
Sarebbe bello se gli italiani fossero davanti alla diretta di questa seduta. Non ci sono, ma sarebbe bello se ci fossero.
Per ascoltare gli attacchi dell'opposizione, che parla a sedie vuote.
Per vedere le sedie vuote.
Per rendersi conto della fine del dibattito parlamentare. Perchè il potere, ora più che mai, appartiene ad altre stanze.
Se gli italiani iniziassero a rendersi conto, questa sarebbe la vera rivoluzione.

7 maggio 2010

Annozero con sorpresa

Oggi è stato correttamente osservato che, se si invita D'Alema a parlare del caso Scajola, e lo si mette a confronto con il co-direttore del Giornale, il risultato è, come minimo, un "vada a farsi fottere." Nel 1996, infatti, il Massimo del Pd (allora PDS) era stato pizzicato a pagare un affitto un po' bassino in proporzione all'appartamento di Trastevere che occupava; quando Sallusti, ha provato a ricordarglielo, martedì scorso a Ballarò, lui si è inalberato. Con conseguente e reciproco scambio di complimenti.
E allora tutti giù a dire che bisognerebbe scandalizzarci e invece non ci scandalizziamo più, che i partecipanti ai talk show somigliano alle casalinghe al mercato, che i conduttori sono nient'altro che venditori di fumo, petulanti e tendenziosi. Ma non è questo il punto della questione: il punto è che nessuno è così masochista da costringersi a guardare, a fine giornata, "loro" che urlano in televisione.
Ieri sera, comunque, ho deciso di correre il rischio e, con mia grande sopresa, l'ho scampata.
Ora, bisogna dire che di solito Santoro tiene il polso della discussione con discreta fermezza, ma sempre di un'arena si tratta e il battibecco è inevitabile. Ieri sera però (incredibile ma vero) ognuno degli invitati ha fatto il proprio intervento senza essere interrotto (o quasi: c'era Belpietro), tanto che lo spettatore ha avuto addirittura l'impressione di capire di cosa si stesse parlando. E, alla fine, ha potuto andare a dormire riflettendo su quello che aveva ascoltato.
Gli autori, infatti, avevano scelto di fare una trasmissione di cronaca. Cronaca e commento. Gli ospiti erano cinque giornalisti e un professore di storia contemporanea; nemmeno un ministro, un capogruppo, un onorevole, nemmeno un piccolo sindaco senza cravatta. Niente. Solo cinque giornalisti e un professore, che -sia detto per inciso- ha fatto osservazioni un po' ovvie. In più, i servizi di routine, due incursioni della Guzzanti e il contributo di Monicelli che, a 90 anni e in un paese dove i giovani non si prendono il disturbo di pensare a certe cose, crede nella rivoluzione.
Niente politici niente rissa.
Se è stato il Caso, speriamo che ci grazi ancora.